Apprendere attraverso l’immaginazione: il lavoro di Enzo Mari

di Chiara Bertelli

Classe 1932, figlio di madre piemontese e padre pugliese, Enzo Mari nasce a Novara ma cresce a Milano. Il padre sogna per lui una vita diversa ma non è quello che succede e Mari si trova in giovane età a dover entrare nel mondo del lavoro.
Nel 1952 il caso vuole che l’unica facoltà a cui è permessa l’iscrizione senza titoli sia l’Accademia di Belle Arti di Brera e un giovane Mari decide che “farà l’artista” [1]: la carriera lo sceglie ma la praticità e l’atteggiamento curioso acquisiti nelle sfide di quegli anni saranno parte fondamentale della sua visione artistica, una ricerca fatta di un forte rigore metodologico ma anche della capacità di cogliere i segreti nascosti dietro ogni tecnica.

Osservare e sperimentare. Lo stesso modo di agire si trova per Enzo Mari nella mente del bambino che, con le sue affascinanti capacità di auto-apprendere, impara dal mondo che lo circonda: non stupisce quindi che Mari abbia dedicato parte del suo lavoro di designer all’ideazione di giochi per bambini, che in età evolutiva diventano un esercizio necessario per scoprire e far evolvere le proprie capacità.

Non è il solo. Negli anni ‘60 in Italia fioriscono proposte su più fronti per un superamento di approcci pedagogici antiquati e Mari ne farà parte con Bruno Munari nell’incontro tra design ed editoria per l’infanzia: i due, contribuendo con ricerca artistica, attenzione grafica e design, cambieranno le regole del gioco in tutti i sensi, proponendo opere attentamente curate e studiate per un pubblico che fino a quel momento non era stato pensato all’altezza di tanta cura dei dettagli.

Enzo Mari

Enzo Mari

Sia Mari che Munari agiscono nell’ottica che creare per bambini sia eticamente importante: costruire oggi giochi che diano la possibilità di ragionare liberamente diventa un modo per agire sul mondo di domani, crescendo adulti più consapevoli.

Entrambi gli artisti arrivano a pensare progetti legati all’infanzia grazie a legami strettamente personali con figli o nipoti e questo rende la loro ricerca più libera e sperimentale, grazie all’assenza di committenze; per esempio, Mari ragiona sull’idea di creare un gioco che non venga abbandonato dai bambini dopo la prima esperienza ma che possa essere sperimentato e reinterpretato nel tempo, osservando i figli giocare accanto al suo tavolo di lavoro: da qui nascono i primi modelli dei 16 animali e de Il gioco delle favole che, come altri, non erano pensati per essere venduti ad un editore.

Il gioco delle favole, Corraini (2004)

Scheda tratte da Il gioco delle favole, Corraini (2004)

Scheda tratta da Il gioco delle favole, Corraini (2004)

Eppure è grazie all’attenzione di realtà innovative come l’azienda Danese o la casa editrice Corraini che oggi questi giochi, che contengono osservazioni rivoluzionarie, possono ancora arrivare a noi e colpirci, più di cinquant’anni dopo la loro prima uscita.

Come affermava Mari infatti: «Un buon progetto richiede un’alleanza appassionata di due persone: un soldato dell’utopia, il progettista, e una tigre del mondo reale, l’imprenditore»[2], in grado di riconoscere il potenziale sia in progetti mai messi sul mercato, come fece Danese con i giochi di Mari, che dando nuova vita a lavori già pubblicati: è questo il caso di Corraini che colse le potenzialità in quelle opere di Munari riguardanti il settore dell’arte, che non erano state adeguatamente valorizzate e si prese cura di raccontarle, contribuendo a trasmettere le idee dell’artista fino ad oggi, anche riprendendo progetti per Danese ed Emme Edizioni che da tempo non erano più pubblicati [3]. 

Incontro con Marzia Corraini, Mutty – marzo 2023

Questo è il risultato della scelta coraggiosa di chi ha deciso di promuovere prodotti considerati di nicchia dal mass market, perché hanno bisogno di qualcuno che creda nelle novità proposte e le sappia raccontare, anche intermediando il lavoro concettuale che sta dietro alle opere degli artisti; come gli animali de Il gioco delle favole, i cui disegni raccolgono il volere di Mari di lavorare ad una semplificazione dell’immagine per rappresentare l’archetipo dell’animale stesso: non il tuo riccio, la mia mela, una vecchia volpe ma il riccio, la mela e la volpe, riconoscibili universalmente. Togliendo tutti gli elementi caratterizzanti, si arriva all’essenza del significato, un’immagine astratta ma identificativa, da cui poi si può partire per inventare tutte le storie che ci vengono in mente. Ai bambini questi messaggi arrivano in modo diverso, non con parole ma attraverso l’atto concreto di narrare nuovi mondi, inventandoli da sé.

L’attenzione che artisti come Mari e Munari riservano all’infanzia si rivela quindi necessaria: è nella possibilità di far conoscere modi di pensare nuovi e autonomi che poi si rivela la bellezza del poter essere liberi di scegliere.
Altrettanto importante è l’azione di chi si occupa di mantenere un dialogo tra presente e passato, come gli insegnanti, che utilizzano giochi così attenti all’interno delle scuole e le librerie o case editrici che continuano a vedere un messaggio significativo da trasmettere di generazione in generazione.

La mostra-gioco per bambini su Il gioco delle favole di Enzo Mari, inaugurata da Mutty il 25 marzo, è un’occasione imperdibile per sperimentare di persona il gioco, sia nel suo formato classico che disposto su tavole di grandi dimensioni, che permette ai più piccoli di immergersi completamente nel mondo popolato da animali tratti dalle favole di Fedro e Esopo.

Installation view, Mutty (2023)

Installation view, Mutty (2023)

[1] Citazione tratta da “25 modi per piantare un chiodo”, Enzo Mari, (Mondadori, 2021).
[2] Citazione tratta da Domus (2004)
[3] Intervista a Marzia Corraini a cura di Chiara Bertelli (2023)