Anaïs Beaulieu e l’arte di ricamare storie

In occasione della sua prima mostra da Mutty – la prima in Italia si è tenuta nel 2018 a Bologna, presso Les Libellules – abbiamo fatto due chiacchiere con Anaïs Beaulieu, l’artista francese che dal 17 settembre sarà nostra ospite con la mostra “Stitches Out of Time” (e con il workshop di ricamo a cui siete tutt* invitat*: Ricami Botanici).

Anaïs vive e lavora a Parigi, si occupa di formazione artistica presso istituzioni e biblioteche, e collabora con associazioni di promozione culturale sul territorio francese.
L’abbiamo conosciuta come collaboratrice della storica casa editrice francese Les Trois Ourses, con cui collaboriamo da diversi anni, la prima ad aver portato in Europa il lavoro di Katsumi Komagata (un artista che amiamo molto, vedi qui).
Dopo aver lavorato come editrice, Anaïs ha deciso di dedicarsi alla carriera artistica recuperando un linguaggio e una tecnica che le erano propri sin da bambina, quella del ricamo.

L’abbiamo intervistata per conoscere meglio il suo lavoro e il suo percorso artistico.

Il ricamo è una tecnica che hai appreso da bambina. Quando hai ripreso a ricamare?

Ho iniziato a ricamare dopo un viaggio in Burkina Faso. Lì tutti fanno le cose con le mani. In quel periodo lavoravo con il computer. Questo viaggio mi ha fatto capire che cominciava a non avere più senso per me. Così mi sono chiesta cosa potessi fare con le mie mani. Poi mi sono ricordata che sapevo ricamare. Quando sono tornata in Francia ho dato un’occhiata alla presa elettrica di casa e mi sono resa conto di quanto fossi fortunata ad avere l’elettricità, perché nel villaggio in cui mi trovavo in Burkina Faso c’erano spesso interruzioni di corrente. Poi ho deciso di ricamare la spina. Stavo prendendo la metropolitana e mi sono resa conto di essere in un mondo in cui ci sono le scale mobili. In altri paesi, invece, non ci sono. Così ho ricamato una scala mobile, ecc. Sono tornata al ricamo con il desiderio di disegnare tutte queste differenze.

Qual è stato il primo ricamo che hai realizzato?

Il primo ricamo che ho fatto sono stati dei fiori di stella alpina su una camicia blu. Avevo circa 8 anni. Dovevo andare in vacanza dai miei nonni a 500 km da dove vivevo. L’altra mia nonna decise di imparare il ricamo per fare questo regalo all’altra mia nonna.

Come è nata la serie (F)utiles ora in mostra?

La serie (F)utiles è iniziata durante un altro viaggio in Burkina Faso. Ero in autobus e dal finestrino ho visto molti sacchetti di plastica nei campi. Ho avuto la sensazione che stessero diventando la vegetazione stessa. Allora mi è venuta l’idea di ricamare dei vegetali sui sacchetti di plastica come gesto di rivalsa. Ho provato e ha funzionato, così ho continuato e è diventata una serie. Nel 2018 ho avuto la possibilità di fare una residenza d’artista a Chennai presso Tara Books. Quando sono arrivata lì, avevo un ricamo su un sacchetto di plastica in corso. Gita, la direttrice di Tara Books, l’ha visto e ha detto “abbiamo lo stesso problema qui, facciamo un libro” ed è così che è nato il libro “A Stitches Out of Time”.

Qual è la tua formazione? Come ti sei avvicinata al linguaggio artistico?

Fin da bambina sono stata abituata a disegnare e a scrivere. Così mi è apparso subito che ne avevo bisogno per esprimermi. Allora ho deciso di orientare i miei studi in quel senso e di fare una scuola d’arte. Poi ho lavorato un anno come rilegatrice. Poi ho ripreso gli studi per un anno per conseguire il master “Libro d’artista e stampa d’arte”. In questo contesto, ho seguito una formazione presso Les Trois Ourses, che difendeva i libri d’artista per bambini, come quelli di Bruno Munari e Katsumi Komagata. Infine, ho lavorato con loro per 7 anni. Essendo una piccola struttura, svolgevo funzioni molto diverse tra loro come la diffusione, la comunicazione, l’esposizione, i laboratori, ecc.

Cosa significa per te ricamare?

Nel mondo che va molto veloce, il ricamo è un modo per ritrovare il mio tempo e non quello imposto. In questo senso, il ricamo funziona come una meditazione per me. Il movimento dell’ago è un respiro che mi aiuta a ritrovare me stessa.
Non è banale usare un ago e un filo come abilità. Dietro c’è anche l’idea di riparare fin dall’inizio dell’umanità. Inoltre il ricamo rende più belli i vestiti e i tessuti come se raccontassero storie. Riparare e raccontare storie di come le ferite possono diventare belle, questo è esattamente il significato del ricamo per me.


Intervista a cura di Giulia Giazzoli, settembre 2022.